Di competizioni e farmacie

Quando la farmacista ha detto quella parola, diarrea, in risposta al ragazzo giapponese che non riusciva ad esprimersi alla perfezione, lì nel centro di Valencia, tu in attesa della sua collega momentaneamente scomparsa hai accennato ad un sorriso, non per il povero giapponese, che non son cose per cui gioire, ma perché certe parole son più simpatiche d'altre e fan sempre un po' ridere, come cacca, pipì, solletico. Sarà che risvegliano il bambino che c'è in noi. Poi, quando dopo diversi altri gesti e verbi non coniugati e tante altre parole lanciate in aria con pronunce maldestre nella speranza di farsi capire, la farmacista al tuo lato finalmente indovina, eritema solare, dice, in una Valencia colpita dalla forte ondata di calore dell'anno 2015, mentre tu aspetti all'altra cassa la collega che ancora non si sa dov'è. Allora pensi, diarrea ed eritema, beh il giapponese non se la starà passando proprio benissimo. E siccome sei quasi obbligato a quel teatro, del samurai nipponico in cerca della traduzione risolutiva, e della farmacista valenciana dalle espressioni un po' crucciate, non puoi far a meno d'ascoltare l'ennesima richiesta, la più lunga, difficile da spiegare, complicata da capire, fin quando la ragazza quasi grida un Ah liberatorio, è la pillola del giorno dopo. Poraccio, pensi, il giapponese in vacanza in Spagna se la ricorderà per un pezzo quest'estate sicuramente non fortunatissima, d'improvviso l'osservi quasi con compassione e nascondi lo sguardo sui tuoi piedi, non sia mai che qualcuno potesse leggere i tuoi pensieri. Eppoi, ostaggio di quell'attesa imprevista, per la collega inghiottita da archivi di farmaci mutanti, pensi che sicuramente, senza dubbio alcuno, quei malori orientali avranno valso la vittoria giornaliera, forse anche quella mensile, alla farmacista che ha collezionato in un sol colpo diarrea, eritema e pillola. Chissà quanti punti, in quella competizione che sicuramente, senza dubbio alcuno, avranno tra loro i farmacisti, a chi becca il caso umano peggiore e accumula punti, per ogni malanno, per ogni prescrizione. Pensi, quel Ah liberatorio forse era anche esultanza, oramai padrona della vittoria schiacciante. Pensi, certo con la collega che scompare per tempi così lunghi però, la competizione non deve esser poi così impossibile. Ecco perché un farmacista non gioisce mai per una scatola di cerotti. O uno spazzolino. Un pacchetto di zigulì. (Si vendono ancora - ti domandi - le zigulì?). Son tutte cose che valgono quasi zero punti. Son tutte cose che non aiutano, nella scalata alla classifica generale.
E mentre certi pensieri s'intrecciano rapidamente con la loro chiarezza cristallina, e mentre il giapponese lascia la farmacia con il suo bottino di medicine risolutive ed un sorriso di pene già alleviate, mentre la farmacista annota i punti guadagnati sullo scontrino che userà come prova della sua vittoria, ecco che riemerge la collega dall'apnea in mondi alieni. E tu, quasi con un pizzico d'imbarazzo, nella consapevolezza di lasciar briciole di punti, chiedi il tuo collirio sottovoce, che una congiuntivite non varrà quasi nulla in classica, pensi, e con la coda dell'occhio vedi l'altra farmacista già gioire. Mi dispiace, mimi con lo sguardo, quando paghi senza dire una parola. Tranquillo non è grave, sembra dire la farmacista, nel consegnare il collirio a quel cliente quasi depresso.

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